Tredici
– Jay Asher
Tredici,
così s’ intitola il libro di Jay Asher. Tredici come il numero di persone che
hanno portato Hannah Backer al suicidio.
La
vita di Hannah è finita; perché?! E’ questo il dubbio che assale il
protagonista del libro, Clay, ovvero la voce narrante, colui attraverso il
quale potremmo sentire la storia di Hannah e ripercorrere con lei gli
avvenimenti che l’hanno portata, inizialmente a soppesare l’opportunità di
mettere fine alla sua vita, e poi a compiere il gesto.
Tale
domanda resta un mistero, fin quando non gli viene recapitato un pacco che
conterrà tutte le risposte. Ovvero sette audiocassette, dedicate ognuna a due
persone (una per ogni lato) che sono state determinanti nella decisione di
Hannah.
Vedrebbero confusione. Frustrazione. E
anche un po’ di rabbia. Sentirebbero le parole di una ragazza morta che
echeggiano nella testa. Una ragazza che, a quanto pare, intende incolparti del
suo suicidio.
Ogni
audiocassetta è indirizzata ad una specifica persona, e racconta il modo in cui
questa è entrata nella vita di Hannah, e come l’abbia destabilizzata. Ogni
persona riportata nella lista ha il dovere di ascoltare le cassette (o almeno
la parte relativa alla sua persona) e spedirle alla persona immediatamente
successiva; se questo non dovesse essere fatto le audiocassette verranno
diffuse e per molte persone, ciò comporterebbe enormi ripercussioni.
Più ascolto queste cassette, più mi
sembra di conoscere Hannah. Non l’Hannah degli ultimi anni, ma quella degli
ultimi mesi. E’ l’Hannah che sto imparando a conoscere.
L’Hannah della fine.
La
storia di Hanna è costellata da piccole azioni, forse addirittura banali, ma
che l’hanno segnata nel profondo.
Lo so. Lo so cosa stai pensando. Mentre raccontavo la
vicenda, l’ho pensato anch’io. Un bacio? Un pettegolezzo legato a un bacio ti
ha spinta a fare quello che hai fatto?
E, a volte, un pettegolezzo legato a un bacio può avere
un effetto valanga. Un pettegolezzo legato a un bacio è solo l’inizio.
Tutto inizia da un semplice bacio, una
chiacchera fatta per pavoneggiarsi davanti a degli amici, senza riflettere
sulle ripercussioni che queste possono avere sulle persone che diventano
oggetto di attenzioni non desiderate. Questo fondamentalmente vuole dire Hannah
con il suo racconto. Le parole, lasciano un segno indelebile sulla nostra
persona, che ci rendono a poco a poco diversi.
Jessica, mia cara, sarei curiosa di sapere se ti sei
fatta viva al mio funerale oppure no. E in caso, se hai notato o meno la
cicatrice
E voi altri- tutti quanti voi – vi siete accorti delle
ferite che mi avete provocato?
No. Immagino di no.
Non è stato possibile.
Perché molte non sono visibili a occhio nudo.
No, perché non c’è stato nessun funerale,
Hannah.
Premettendo
che la problematica affrontata da questo libro è molto attuale, ovvero il
bullismo che subiscono molti ragazzi, questo è un buon motivo per togliersi la
vita?!
Dal mio punto di vista assolutamente NO!
I
motivi che spingono Hannah a commettere quest’atto sono a mio avviso futili e
non giustificabili, ovvero sono del parere che in tutte le situazioni che la
via ci mette davanti, abbiamo il dovere di reagire. Di fare qualunque cosa in
nostro potere per cambiarle. Hannah Backer invece le subisce, arriva al punto
di assecondare i suoi carnefici, come se la sua vita fosse vuota e lei non
avesse voce in capitolo.
Si. In effetti, è così. Perché alla fine è di questo
che si tratta, più ancora di tutto il resto. Io…. che rinuncio… a me stessa.
Hannah
ha deciso di non lottare, durante tutto il suo racconto non ha mai avuto il
coraggio di affrontare le situazioni, non ha mai reagito.
Sto ascoltando la voce di una che sta per
gettare la spugna. Una che conoscevo. Una che mi piaceva.
La ascolto. Ma è troppo tardi.
Solo
dopo la morte trova il coraggio di affrontare le persone che hanno reso la sua
vita insopportabile.
Questo
romanzo inizialmente potrebbe sembrare diseducativo, fa trasparire un messaggio
sbagliatissimo, “noi siamo ciò che gli altri ci impongono d’essere”
Ma
d’altra parte questo romanzo potrebbe portare i ragazzi ad avere consapevolezza
sull’importanza che hanno le parole.
Dovrebbe
insegnare il rispetto verso gli altri, altre persone diverse da noi, che sono
più fragili.
Ma adesso, è troppo tardi. Ecco perché,
in questo preciso istante, provo un profondo odio. Per me stesso. Me lo merito
di essere su questa lista.
Perché se solo non avessi avuto così
paura degli altri, avrei detto ad Hannah che m’importava eccome di lei. E forse
sarebbe ancora viva.
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