SEGNALAZIONE #49
AUTORE: Silvia Alonso
GENERE: giallo con tinte erotiche BDSM
GENERE: giallo con tinte erotiche BDSM
EDITORE: Brè Edizioni
NUMERO DI PAGINE: 244
DATA DI PUBBLICAZIONE: 1 luglio 2021
ASIN: B097DLJG3R
PREZZO E-BOOK: 3,99€ (disponibile su Kindle Unlimited)
ISBN: 9791259700681
ISBN: 9791259700681
PREZZO CARTACEO: 13€
SINOSSI
L’Angelo veste Sado è un cocktail micidiale, vi trovate vari ingredienti in grado di soddisfare il palato del lettore più esigente: il giallo, con i suoi intrighi, il morto, l’assassino, il poliziotto e l’investigatore esterno. Il BDSM, quello duro, crudo, fatto di dolore che muta in piacere. L’erotismo velato ma presente. La notte, il nero del buio che copre e rivela, che cela e protegge misteri che è meglio non conoscere. La Morte, pronta a spiegare le ali come un Angelo nero. Le Mistress, vere regine del piacere per chi cerca l’oltre. Il tutto agitato con sapienza da un’autrice colta, raffinata, ammaliante. Silvia Alonso vi avvolgerà nelle dotte spire di un serpente che vi porterà a girare le pagine con avidità, sperando di non sentire il sibilo di una frusta sulla vostra schiena. Fa male. Prima di donare piacere…
BIOGRAFIA
Dicono che starmi dietro sia come cercare di frenare uno Tsunami con un retino per le farfalle, e ci tengo a non smentire. Quando inizio un romanzo so da dove arriva la mia ispirazione ma mai, realmente, dove andrà a finire. È un viaggio avventuroso alla scoperta di un tesoro, di cui assaporo ogni istante. Mi piace venire guidata dalle mie stesse storie mentre do loro vita fino a quando prendono il volo. Del resto, devo darle atto, alla fine ha vinto lei: la mia Sherazad interiore ha preso il sopravvento sulla me di prima, un giovane avvocato milanese con la passione per la danza, l’esoterismo e le arti pittoriche. Così, è finita che ho seguito i miei sogni. Il mio primo romanzo, I Love Mammy in Montecarlo Genesis Publishing
2019 è nato quasi per caso, e come tale ne ha conservato lo spirito giocoso da chicklit. In L’Angelo veste Sado ho consolidato la mia vocazione, trovando il coraggio di parlare di un mondo misterioso ed esoterico unendo il giallo alle luci rosse. Nel corso di questi due anni i miei racconti e le poesie hanno vinto alcuni importanti premi letterari, di carattere nazionale e Internazionale, che mi riempiono di gioia. Tra i sogni nel cassetto, la pubblicazione di romanzi per ragazzi e favole per bambini, cui sto già lavorando.
Mi piace considerare sacro ogni piccolo regalo che possa essermi fatto dal destino. A voi, cari lettori, far sì che questo viaggio duri il più a lungo possibile.
2019 è nato quasi per caso, e come tale ne ha conservato lo spirito giocoso da chicklit. In L’Angelo veste Sado ho consolidato la mia vocazione, trovando il coraggio di parlare di un mondo misterioso ed esoterico unendo il giallo alle luci rosse. Nel corso di questi due anni i miei racconti e le poesie hanno vinto alcuni importanti premi letterari, di carattere nazionale e Internazionale, che mi riempiono di gioia. Tra i sogni nel cassetto, la pubblicazione di romanzi per ragazzi e favole per bambini, cui sto già lavorando.
Mi piace considerare sacro ogni piccolo regalo che possa essermi fatto dal destino. A voi, cari lettori, far sì che questo viaggio duri il più a lungo possibile.
ESTRATTO
Era di nuovo giunta sera. La sera di un altro, maledetto e interminabile venerdì. Uno di quei giorni che, se sei single per vocazione e soprattutto per colpa della professione, gli attacchi di solitudine si fanno sentire, e allora bersi un Whisky in uno di quei tanti locali di strip-tease, più che un vero e proprio vizio, diventa quasi una necessità. Un effetto collaterale del difficile mestiere di vivere. Che, per uno che faceva la sua, di professione, poteva dirsi andare a nozze con gli extra, lavorativi e non.
Ormai era passata quasi un’intera settimana dal fattaccio all’Infernum, ma ancora niente: non era ancora riuscito a scovare nulla che potesse fondare uno stralcio di ulteriore indizio per le sue indagini, men che meno qualcosa che potesse fargli approfondire le ricerche oltre confine. Nulla che offrisse chiarimenti o aggiungesse allo status quo della vicenda particolari, fossero anche solo complicazioni, in mancanza dei quali tutto procedeva silenzioso e statico come in un film surreale, e lui si sentiva il miglior attore non protagonista di quel noiosissimo romanzo che gli avevano fatto leggere durante i suoi studi, Il deserto dei tartari, e che a quanto pare gli aveva pure portato sfortuna.
Aspettava lo sviluppo delle vicende inerenti all’omicidio D’Angelo come manna dal cielo e, nell’attesa di ricevere aggiornamenti, fremeva in uno stato d’ansia simile al delirio. Eppure, era un po’ che aveva fatto mettere a soqquadro tutto l’Infernum: Corrado e gli altri suoi uomini avevano interrogato tutto il personale, bariste, buttafuori, clienti abitudinari, persino gli addetti alle pulizie. Ma niente. Neanche sequestrando i computer posti all’ingresso per la registrazione dei clienti erano riusciti a trovare nel software un qualche programma che fornisse degli indizi sulle attività misteriose svolte nella sedicente segreta, la cantina del locale. In assenza di prove, il tutto assurgeva alla dimensione del mito, qualcosa di sfumato in cui si crede per affabulazione. Insomma: il frutto di un sogno, e questo gli bruciava molto, perché lui odiava le superstizioni e le credenze romantiche. In compenso non vedeva l’ora di mettere le mani su coloro che, a naso, riteneva le principali responsabili del fattaccio: la Santacroce e le altre ballerine del mucchio.
C’era poi un ulteriore particolare che lo lasciava perplesso, e che riguardava appunto la cantina: non era rimasta nessuna traccia dei vari arnesi di tortura usati dalla Mistress, la Carofiglio o chiunque si trattasse. Solo l’arredamento, che evocava un certo stile gotico e pressoché essenziale, poteva far supporre alcune subdole attività sospette, ma del corpo del reato neanche l’ombra. I pochi mobili trovati, e messi a soqquadro, erano antichi, e perciò persino apparentemente inoppugnabili: c’era una credenza dell’Ottocento sistemata al centro della stanza, sulla quale erano stati posti dei candelabri. Soprattutto c’era una panca da chiesa, trafugata chissà dove, col suo inginocchiatoio. La scientifica aveva analizzato accuratamente i mozziconi delle candele trovati in giro e ogni residuo combustibile e organico che si trovasse nella stanza, ma nessuna anomalia era stata riscontrata; nemmeno resti di funghi allucinogeni, tracce di sostanze psicotrope o quant’altro, che normalmente abbondavano in certi ambienti.
Tutto questo andava contro le sue aspettative e rendeva l’indagine più difficile. Che quelle poco di buono delle mistress o ballerine che fossero non si drogassero prima delle loro performance assassine, gli suonava strano, e a dirla tutta aveva dell’assurdo. La Carofiglio poi, dalle foto che si era girato e rigirato più volte tra le mani, aveva quella tipica aria da ragazza ingenua da risultare, per contrasto, un tizzone acceso per i suoi carboni ardenti. Se la immaginava vestita in maniera provocante, alta, bionda e col rossetto rosso a esaltarne le labbra carnose, che era una meraviglia. Chissà cosa era capace di combinare sotto effetto di stupefacenti. Quali perversioni esaudiva e fino a che punto era disposta a realizzare i desideri dei suoi sottomessi? Con quali destrezze li dominava? Era più fisica o mentale? Tutte domande che restavano nel terreno incognito della sua mente. Più la sensazione d’impotenza lo assaliva, più la sete di rivalsa, per compensazione, si faceva largo nei desideri di uomo inappagato di mezza età.
In tale panorama desertico, l’unica prova degli illeciti svolti, giocoforza al centro del suo mirino di indagine, era la croce in legno a X con le cinture in pelle. Troppo poco, però, per dedurne tutta la gamma possibile di pratiche perverse su cui stava incessantemente spremendosi le meningi, nel tentativo di immaginare ogni minuscolo e ipotetico dettaglio del misfatto. A ciò si aggiungeva l’impossibilità di reperire un qualsiasi indizio inerente all’elenco dei presunti clienti speciali che avrebbero avuto accesso al privé per quei giochi proibiti, come se fosse stato inghiottito da qualcuno. Avevano anche interrogato a lungo il proprietario del locale, il quale, in mancanza di prove che potessero smentirlo o confutarlo, si era limitato a dichiararsi all’oscuro di tutto, rimandando ogni responsabilità, seppur eventuale, alla gestione, e viceversa. Tutti rimbalzavano la palla su tutto, e lui si ritrovava ogni volta punto a capo.
Si sentiva preso in giro dal destino. Mai un’indagine tanto stuzzicante dal punto di vista teorico, per tacere del lato pratico e insolitamente ludico, gli era scivolata di mano con tale destrezza. Un pugno di mosche, uno sciame di anguille, un volo disordinato di mille farfalle, non sapeva a quale immagine paragonare quella sensazione che gli aveva causato tanto amaro in bocca. Si sentiva assediato e al contempo umiliato per non riuscire a dare una direzione a quell’indagine, che si stava trasformando in un vero tormento.
Era come se tutte le ragazze in questione si trovassero a cospirare divertite alle sue spalle: ballerine di night, spogliarelliste, Mistress, inservienti, cameriere e tutte le altre professioni che avessero una qualche remota connessione coi locali notturni. Tutte quelle che, insomma, per quanto egli avesse fatto leva sul suo ruolo autorevole di commissario, rimarcandolo tramite stratagemmi e piccole strategie, non avevano ceduto al suo fascino. Neanche dietro la promessa di una lauta mancia.
Ovviamente, a capo di tale ordine costituito, troneggiava, prima fra tutte, l’immagine impertinente della Santacroce. Quella strega che con tutta la sua prosopopea lo aveva condito via con un paio di battute sciolte sulla filosofia e qualche riferimento banale a un po’ di cinematografia. Ma per chi lo aveva preso? Le sue mutandine di pizzo erano dapprima diventate un cimelio, poi un valido antistress per i momenti di sconforto, infine sembravano essersi trasformate nel monumento alla sua incapacità di entrare nelle pieghe di quelle indagini, proprio come non era riuscito a entrare nelle pieghe intime della proprietaria dell’indumento. Un emblema di come non riusciva ad avere successo, in generale, con le donne. Un perenne memento del fatto che, se le cose continuavano così, anziché toglierle a chi di dovere, quelle mutande, prima o poi ci si sarebbe ritrovato lui. Umiliato davanti a superiori e colleghi.
Si alzò di scatto dalla scrivania, mezz’ora prima del solito. Decise che era venuto il momento di agire. Doveva prepararsi, tornare a casa per farsi una bella doccia, profumarsi e vestirsi al meglio. Quella sera avrebbe avuto tutto il tempo per cenare con calma. Una bella pastasciutta al pomodoro, niente aglio e peperoncino, meglio tenersi leggeri. Poi, sarebbe partito rinvigorito alla conquista della notte.
Ormai era passata quasi un’intera settimana dal fattaccio all’Infernum, ma ancora niente: non era ancora riuscito a scovare nulla che potesse fondare uno stralcio di ulteriore indizio per le sue indagini, men che meno qualcosa che potesse fargli approfondire le ricerche oltre confine. Nulla che offrisse chiarimenti o aggiungesse allo status quo della vicenda particolari, fossero anche solo complicazioni, in mancanza dei quali tutto procedeva silenzioso e statico come in un film surreale, e lui si sentiva il miglior attore non protagonista di quel noiosissimo romanzo che gli avevano fatto leggere durante i suoi studi, Il deserto dei tartari, e che a quanto pare gli aveva pure portato sfortuna.
Aspettava lo sviluppo delle vicende inerenti all’omicidio D’Angelo come manna dal cielo e, nell’attesa di ricevere aggiornamenti, fremeva in uno stato d’ansia simile al delirio. Eppure, era un po’ che aveva fatto mettere a soqquadro tutto l’Infernum: Corrado e gli altri suoi uomini avevano interrogato tutto il personale, bariste, buttafuori, clienti abitudinari, persino gli addetti alle pulizie. Ma niente. Neanche sequestrando i computer posti all’ingresso per la registrazione dei clienti erano riusciti a trovare nel software un qualche programma che fornisse degli indizi sulle attività misteriose svolte nella sedicente segreta, la cantina del locale. In assenza di prove, il tutto assurgeva alla dimensione del mito, qualcosa di sfumato in cui si crede per affabulazione. Insomma: il frutto di un sogno, e questo gli bruciava molto, perché lui odiava le superstizioni e le credenze romantiche. In compenso non vedeva l’ora di mettere le mani su coloro che, a naso, riteneva le principali responsabili del fattaccio: la Santacroce e le altre ballerine del mucchio.
C’era poi un ulteriore particolare che lo lasciava perplesso, e che riguardava appunto la cantina: non era rimasta nessuna traccia dei vari arnesi di tortura usati dalla Mistress, la Carofiglio o chiunque si trattasse. Solo l’arredamento, che evocava un certo stile gotico e pressoché essenziale, poteva far supporre alcune subdole attività sospette, ma del corpo del reato neanche l’ombra. I pochi mobili trovati, e messi a soqquadro, erano antichi, e perciò persino apparentemente inoppugnabili: c’era una credenza dell’Ottocento sistemata al centro della stanza, sulla quale erano stati posti dei candelabri. Soprattutto c’era una panca da chiesa, trafugata chissà dove, col suo inginocchiatoio. La scientifica aveva analizzato accuratamente i mozziconi delle candele trovati in giro e ogni residuo combustibile e organico che si trovasse nella stanza, ma nessuna anomalia era stata riscontrata; nemmeno resti di funghi allucinogeni, tracce di sostanze psicotrope o quant’altro, che normalmente abbondavano in certi ambienti.
Tutto questo andava contro le sue aspettative e rendeva l’indagine più difficile. Che quelle poco di buono delle mistress o ballerine che fossero non si drogassero prima delle loro performance assassine, gli suonava strano, e a dirla tutta aveva dell’assurdo. La Carofiglio poi, dalle foto che si era girato e rigirato più volte tra le mani, aveva quella tipica aria da ragazza ingenua da risultare, per contrasto, un tizzone acceso per i suoi carboni ardenti. Se la immaginava vestita in maniera provocante, alta, bionda e col rossetto rosso a esaltarne le labbra carnose, che era una meraviglia. Chissà cosa era capace di combinare sotto effetto di stupefacenti. Quali perversioni esaudiva e fino a che punto era disposta a realizzare i desideri dei suoi sottomessi? Con quali destrezze li dominava? Era più fisica o mentale? Tutte domande che restavano nel terreno incognito della sua mente. Più la sensazione d’impotenza lo assaliva, più la sete di rivalsa, per compensazione, si faceva largo nei desideri di uomo inappagato di mezza età.
In tale panorama desertico, l’unica prova degli illeciti svolti, giocoforza al centro del suo mirino di indagine, era la croce in legno a X con le cinture in pelle. Troppo poco, però, per dedurne tutta la gamma possibile di pratiche perverse su cui stava incessantemente spremendosi le meningi, nel tentativo di immaginare ogni minuscolo e ipotetico dettaglio del misfatto. A ciò si aggiungeva l’impossibilità di reperire un qualsiasi indizio inerente all’elenco dei presunti clienti speciali che avrebbero avuto accesso al privé per quei giochi proibiti, come se fosse stato inghiottito da qualcuno. Avevano anche interrogato a lungo il proprietario del locale, il quale, in mancanza di prove che potessero smentirlo o confutarlo, si era limitato a dichiararsi all’oscuro di tutto, rimandando ogni responsabilità, seppur eventuale, alla gestione, e viceversa. Tutti rimbalzavano la palla su tutto, e lui si ritrovava ogni volta punto a capo.
Si sentiva preso in giro dal destino. Mai un’indagine tanto stuzzicante dal punto di vista teorico, per tacere del lato pratico e insolitamente ludico, gli era scivolata di mano con tale destrezza. Un pugno di mosche, uno sciame di anguille, un volo disordinato di mille farfalle, non sapeva a quale immagine paragonare quella sensazione che gli aveva causato tanto amaro in bocca. Si sentiva assediato e al contempo umiliato per non riuscire a dare una direzione a quell’indagine, che si stava trasformando in un vero tormento.
Era come se tutte le ragazze in questione si trovassero a cospirare divertite alle sue spalle: ballerine di night, spogliarelliste, Mistress, inservienti, cameriere e tutte le altre professioni che avessero una qualche remota connessione coi locali notturni. Tutte quelle che, insomma, per quanto egli avesse fatto leva sul suo ruolo autorevole di commissario, rimarcandolo tramite stratagemmi e piccole strategie, non avevano ceduto al suo fascino. Neanche dietro la promessa di una lauta mancia.
Ovviamente, a capo di tale ordine costituito, troneggiava, prima fra tutte, l’immagine impertinente della Santacroce. Quella strega che con tutta la sua prosopopea lo aveva condito via con un paio di battute sciolte sulla filosofia e qualche riferimento banale a un po’ di cinematografia. Ma per chi lo aveva preso? Le sue mutandine di pizzo erano dapprima diventate un cimelio, poi un valido antistress per i momenti di sconforto, infine sembravano essersi trasformate nel monumento alla sua incapacità di entrare nelle pieghe di quelle indagini, proprio come non era riuscito a entrare nelle pieghe intime della proprietaria dell’indumento. Un emblema di come non riusciva ad avere successo, in generale, con le donne. Un perenne memento del fatto che, se le cose continuavano così, anziché toglierle a chi di dovere, quelle mutande, prima o poi ci si sarebbe ritrovato lui. Umiliato davanti a superiori e colleghi.
Si alzò di scatto dalla scrivania, mezz’ora prima del solito. Decise che era venuto il momento di agire. Doveva prepararsi, tornare a casa per farsi una bella doccia, profumarsi e vestirsi al meglio. Quella sera avrebbe avuto tutto il tempo per cenare con calma. Una bella pastasciutta al pomodoro, niente aglio e peperoncino, meglio tenersi leggeri. Poi, sarebbe partito rinvigorito alla conquista della notte.
LINK UTILI
Amazon
Facebook autrice
Sito casa editrice
Facebook casa editrice
Mail casa editrice
Instagram casa editrice
Nessun commento:
Posta un commento