Segnalazione #83 - Nel nero

 SEGNALAZIONE #83

NEL NERO
Racconti, favole e abissi


TITOLO: Nel nero - Racconti, favole e abissi
AUTORE: Andrea Biscaro
GENERE: racconti noir, thriller, horror, black comedy
EDITORE: Brè Edizioni
NUMERO DI PAGINE: 362
DATA DI PUBBLICAZIONE: 22 gennaio 2022
ASIN: B09QNZV91X
PREZZO E-BOOK: 3,99€ (disponibile su Kindle Unlimited)
ISBN: 9791259701459
PREZZO CARTACEO: 18€
 
SINOSSI

Un’opera che contiene più di venti racconti di vari generi: horror, thriller, black comedy. Piccole didascalie, scene di vita. Un incrociarsi di eventi e situazioni, di vicende che fanno riflettere. La solitudine che costringe a farsi amici particolari, l’ingordigia e la voglia di potere che scatenano lotte cruente, l’egoismo e l’avidità che portano a dimenticarsi di chi ci sta intorno.
Su tutti, però, il tema dell’ambiente: il clima, l’inquinamento e la sofferenza della Terra che potrebbero scatenare fenomeni inauditi. Piccoli squarci per capire la bassezza umana, per comprendere che dietro a ogni scelta, per ogni nostra azione c’è un prezzo da pagare. Un libro dove la paura si alterna all’incredulità, in cui la vita e la morte vanno di pari passo, ci trasportano in un mondo fatto di illusioni. E forse queste apparenze, questi miraggi, altro non sono che la vita stessa, con i suoi dolori, le sue imperfezioni, ma anche le sue gioie.

BIOGRAFIA

Andrea Biscaro, classe ‘79. Nato a Ferrara, vive all’Isola del Giglio. Romanziere, cantautore, poeta, ghostwriter, è considerato dalla critica una delle voci più interessanti e poliedriche del panorama letterario italiano.
Tra le numerose pubblicazioni ricordiamo: la biografia pop “Il Diavolo veste Gaga” (Officina di Hank 2021), il libro-cd “Ballate della notte scura” scritto a quattro mani con il padre di Dylan Dog, Tiziano Sclavi (Squilibri 2013, Repubblica XL 2013), il graphic novel “Pornopoema” (Eretica 2020), “La foresteria delle tre sorelle” (Segreti in giallo 2020), “Ai tuoi piedi” (Eroscultura 2021).

ESTRATTO


PEZZI
CRACK!
Un rumore improvviso, violento, come uno strappo, come il suono di un sasso caduto da trecento piani di altezza.
Un suono definitivo. La rottura.
Sbarro gli occhi, immediatamente. Buio. Il letto caldo.
Il sonno già un lontano ricordo.
Gli occhi aperti, spalancati nel nero. Lucidissimi e guizzanti. Silenzio fondo, ora. E l’eco di quel rumore così osceno. Il cuore, una palla di cannone sparata contro la gabbia toracica. Paura. Una paura ignobile, sconfinata, una paura mai avuta prima. Una paura nuda, disperata.
La luce azzurrina dell’orologiologramma da notte segna le 3:33. Le ore sospese nell'oscurità della stanza. Come un presagio. Come una minaccia.
Quel rumore, quello strappo...
Una spallata contro la porta, anzi, un ariete che la spacca, che frantuma il legno e poi mille pazzi entrare in casa. No. Il televisore che cade dal mobile a faccia in giù contro il pavimento. Neanche. Un colpo di pistola o di fucile, lì, proprio nella mia camera, un colpo a bruciapelo a mia moglie, ad Anna.
Paura. Mani gelate. Una patina di sudore freddo sulla fronte e la mente che frana.
Allungo d’istinto la mano nel letto. Mi rassicuro nel sentire Anna che dorme tranquilla accanto a me. Non si è nemmeno svegliata. Com’è possibile? Con un frastuono del genere...
Le accarezzo una spalla e passo in rassegna il buio seduto sul letto, le coperte tirate fino al collo. Ormai gli occhi si sono abituati all’oscurità, il nero di prima è diventato una scura penombra. I miei occhi perlustrano velocemente tutta la stanza finché il mio sguardo cade sulla parete di fianco al letto.
Il cuore si gela.
La parete è nuda adesso. Soltanto muro.
Appoggio lo sguardo a terra e vedo che il grande specchio è caduto. CRACK! Caduto a terra. Per sempre. Il pavimento cosparso di frammenti di specchio. Migliaia di pezzi.
Sussulto violentemente, piango, la testa mi gira, la gola mi brucia, piango, piango lacrime bollenti tra tosse e singhiozzi, piango di nuovo.
Il chiodo ha ceduto. Dopo tanti anni. Il muro si ammuffisce, cede, si sbriciola, il chiodo si stacca e lo specchio frana, irrimediabilmente. CRACK! Mille pezzi. Il mio cuore in mille pezzi. Il mio cuore disperso a terra in migliaia di frantumi. Piango per la prima volta in vita mia. Piango di vergogna. Di paura. Una paura così vera, così lasciva. Una paura che non se ne va.
La mia vita è caduta. La mia vita si è decomposta e non si risolverà mai più. È caduta la mia maschera, definitivamente.
Allungo piano la mano verso il comodino e accendo la luce. Una fioca luce gialla.
Guardo di nuovo a terra, gli occhi gonfi e rossi, increduli. Il pavimento letteralmente ricoperto di specchi, vetri di specchi, punte di specchi, e ogni frammento riflette il mio volto. Un volto disperato. Un volto che non riconosco. Un viso vecchio, scavato, appassito. Un viso schifoso. Il mio. Sento un odio violento crescermi dentro e una rabbia sconfinata montarmi alla testa. Il mio volto riflesso mille volte che mi guarda. Quanto odio verso quegli occhi spenti, quanta rabbia verso quel viso che una volta era bello, verso quella pelle che una volta era liscia, che una volta era viva.
Raccolgo da terra un frammento di specchio, un frammento del mio cuore, e lo stringo nel pugno con tutta la forza e la rabbia che mi sono rimaste. Il vetro entra nella carne e il sangue inizia a colare denso dal pugno. Stringo ancora. A denti serrati. Piangendo. In gola un fascio di spine. Sangue che sgocciola a terra, sui miei piedi nudi, caldo. Plic. Plic. Piango perché non sento niente, non sento neanche il dolore. Quello specchio che entra nella mia mano, nella mia carne, quella carne che riproduce altra carne, non mi fa male. Niente.
Osservo per un attimo mia moglie avvoltolata nelle coperte. Nel suo bozzolo sicuro. Ignara. Come sempre. Ignara dello strappo, della caduta, del disastro. Ignara di tutto.
Poi una vigorosa bussata rompe il silenzio.
BUM BUM BUM! Il legno della porta d’ingresso risuona come una cassa armonica.
I miei occhi si spalancano, vitrei. Mi asciugo il sudore gelato dalla fronte con l’avambraccio nudo.
“Chi può essere a quest’ora di notte?”
Le forti nocche bussano di nuovo.
BUM BUM BUM!
Mi alzo tremando, lasciando cadere il pezzo di specchio che mi ero conficcato nella mano. Mi passo il palmo ferito sul lenzuolo per asciugare il sangue, poi prendo un fazzoletto e lo lego stretto intorno alla mano.
BUM BUM BUM!
Guardo in direzione della porta, terrorizzato. Mi alzo dal letto e percorro piano la stanza, attento a non calpestare i frammenti di specchio disseminati ovunque.
BUM BUM BUM! Il legno rimbomba nello stretto corridoio.
Mi fermo di fronte alla porta chiusa. Le orecchie tese come un animale. Gli occhi sbarrati.
“Chissà chi è?”
Allungo la mano, afferro meccanicamente la maschera antigas appesa di fianco alla porta e me la metto sul volto, come sempre da un anno a questa parte. Guardo quella di mia moglie rimasta appesa sul muro come un oscuro trofeo. Un brivido gelato mi corre lungo la schiena. Inizio a respirare aria filtrata. Da un anno non si può uscire in paese senza maschera antigas. Dicono che può essere rischioso. L’aria è piena di veleni. L’Industria. Dove lavoro anch’io.
“È proprio necessario?” avevo domandato tempo fa.
“È consigliabile. È una misura di sicurezza, una precauzione, diciamo così. E poi che fatica le costa? Vedrà, le sembrerà sempre carnevale.”
Da quel giorno né io né mia moglie usciamo più di casa senza maschera antigas sul volto. Nessuno, in paese. Ormai è diventato un gesto automatico, assimilato, perfettamente normale. Come bere il caffè a colazione, come lavarsi i denti, come provare a fare l’amore la domenica mattina.
Inspirazione. Espirazione. Aria filtrata. Aria che sa di gomma. Aria di plastica.
All’inizio mi ero un po’ arrabbiato.
“Che cos’è questa storia?! Io voglio uscire e respirare come sempre, col naso al cielo. Che cazzata è questa? Una maschera schiacciata sul volto, anche la domenica quando vado a fare il mio giro in bicicletta sull’argine? Stronzate. Piuttosto cambio paese. E lascio pure il lavoro se non mi lasciate in pace. Certo che lo faccio.”
Ma col tempo tutto si ridimensiona. La rabbia si placa. E tutto viene assorbito.
Quale altro lavoro avrei trovato alla mia età? E dove sarei andato, io, che conosco a malapena la mia città?

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