La moglie coreana - Recensione di Mysticmoon

 

 LA MOGLIE COREANA

- Min Jin Lee -

Recensione di Mysticmoon
 
Titolo: La moglie coreana
Autore: Min Jin Lee
Traduttrice: Federica Merani
Genere: storico
Editore: Piemme
Pagine: 600
ISBN: 9788856665796
 
In linea di massima non mi piace discutere i titoli delle edizioni italiane dei romanzi; purché questi non risultino completamente fuori luogo, le varie e fantasiose trasposizioni del Bel Paese mi stanno bene.
Il titolo italiano dato a questo romanzo, ossia La moglie coreana, risponde perfettamente alle caratteristiche che apprezzo quando si ha la necessità di trovare un titolo completamente diverso a un'opera il cui titolo originale non può essere modificato in alcun modo, anche perché nel caso specifico si tratta di una parola che nel nostro paese non tutti conoscono... Ma posso dire che per me il titolo perfetto per questo romanzo è quello originale, ossia Pachinko?
 
La moglie coreana ha inizio sull'isola di Pusan nel pieno della dominazione giapponese ai danni della Corea.
La giovanissima Sunja, rimasta incinta dopo essere stata sedotta e illusa da un uomo che non può prenderla in moglie, decide di accettare la proposta di matrimonio di Baek Isak, un giovane pastore cattolico di passaggio sull'isola prima di recarsi in Giappone, dove avrebbe raggiunto suo fratello e affiancato l'anziano parroco della congregazione di Osaka.
Nonostante abbia sempre vissuto in un paese occupato da una potenza straniera, la ragazza non immagina quale sia la condizione dei suoi connazionali che hanno scelto di emigrare in cerca di un futuro migliore e sarà proprio seguendo la sua storia che il lettore avrà modo di scoprire le discriminazioni a cui erano sottoposti queste persone.

Vi consiglio sin da ora di recuperare questo romanzo perché nonostante sia un bel volume corposo si legge davvero in fretta.
La storia di Sunja è solo il punto di partenza dal quale si dipana una storia che vede nel pachinko la sua perfetta metafora... ma per rendere chiaro il tutto, lasciatemi fare una breve digressione sul pachinko a favore di coloro che non conoscono questo termine.
Il pachinko è un gioco d'azzardo giapponese che si svolge all'interno di appositi locali e che consiste in una sorta di flipper verticale il cui tabellone è provvisto di fori e di ostacoli mobili che vengono spostati frequentemente al fine di rendere imprevedibile il risultato del gioco. Il giocatore di pachinko scambia il suo denaro con delle palline metalliche da caricare una alla volta all'interno del macchinario che le farà scendere dall'alto verso il basso rimbalzando; se grazie ai rimbalzi la pallina finisce all'interno di uno dei fori del tabellone si vincono altre partite mentre se la sfera raggiunge il fondo la partita è persa.
Il bello di questo romanzo risiede in parte proprio nel pachinko nella doppia funzione di attività lavorativa vera e propria e di metafora dell'esistenza umana.
I personaggi di questo romanzo, coreani immigrati in Giappone in cerca di un futuro migliore sia per la famiglia che si lasciano alle spalle sia per quella che desiderano costruire in futuro, devono scontrarsi ogni giorno contro una società profondamente razzista nei loro confronti, diventando palline che cadono lungo un tabellone disseminato di ostacoli, condizione che li spinge a confrontarsi tra loro nel corso della maturazione di una nuova forma mentale ed una consapevolezza differente da quella tradizionale ma soprattutto che li porta a scontrarsi con i numerosi ostacoli che caratterizza la loro esistenza da ospiti indesiderati in una nazione in cui lo spirito nazionalistico è molto forte, situazione che viene esacerbata dai pregiudizi di cui erano vittima le popolazioni che avevano fatto parte dell'impero giapponese, che per anni aveva propagandato l'idea del coreano rozzo e sfaticato che solo in rari casi poteva diventare uno straniero accettabile dalla società, per quanto considerato sempre incline al fallimento a causa del suo retaggio.
Il punto focale del romanzo è proprio la difficile condizione della comunità coreana in Giappone negli anni tra il 1933 ed il 1989 e, per quanto offra anche uno spaccato di vita di alcuni personaggi giapponesi che hanno vissuto sulla loro pelle una discriminazione simile perché solo in parte di origine giapponese (la discriminazione degli "hafu" è tuttora un tema piuttosto caldo in Giappone) o perché legati ad un grave stigma sociale, concentra la sua attenzione sulla famiglia di Sunja, una piccola comunità che non si limita al nucleo familiare in senso stretto, includendo sia Yoseb e Kyunghee, i cognati con i quali la donna vive non appena giunta ad Osaka con il marito, sia una serie di altri personaggi che si aggiungeranno man mano al romanzo.

L'amore in ogni sua sfaccettatura è un altro punto cardine di questo romanzo.
In La moglie coreana è possibile osservare molti tipi di amore, da quello più elevato e platonico di Baek Isak, che per riconoscenza e pietà (intesa come pietas cristiana, ossia il desiderare quello che Dio desidera che venga fatto) prende in moglie una ragazza che conosce a malapena a quello più carnale, ossia il desiderio di Hansu di fare sua la sedicenne Sunja in quanto morbida e ingenua, esattamente l'opposto della donna con cui ha messo su famiglia. L'amore è il sentimento che caratterizza l'intero romanzo perché è il sentimento dalle mille declinazioni che permettono a questa famiglia allargata di resistere a tutti gli impatti della difficile vita da ospiti indesiderati che non possono e/o non vogliono tornare in Corea, una penisola che negli anni in esame è stata squassata da un conflitto fratricida che l'ha spezzata e resa vittima di uomini che hanno imposto con la forza la loro autorità sulla popolazione.
 
Insomma, come avrete intuito La moglie coreana è un gran bel romanzo e vi consiglio spassionatamente di recuperarlo, specie se siete interessati alla storia orientale perché, per quanto di eventi di Storia intesa come "eventi di importanza universale" non vi sia molto, c'è molta Storia della condizione della comunità coreana in Giappone, situazioni che potrebbero aiutare a vedere con occhi diverse la situazione attuale di molte persone ospitate in un paese straniero.




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