SEGNALAZIONE #109
IL VELO GIALLO
TITOLO: Il velo giallo
Amazon
Sito casa editrice
Facebook casa editrice
Mail casa editrice
Instagram casa editrice
AUTORE: Stefano Ricchiuti
GENERE: romanzo storico
GENERE: romanzo storico
EDITORE: Brè Edizioni
NUMERO DI PAGINE: 57
DATA DI PUBBLICAZIONE: 30 marzo 2023
ASIN: B0C13RVB1C
PREZZO E-BOOK: 2,99€ (disponibile su Kindle Unlimited)
ISBN: 9791259703514
ISBN: 9791259703514
PREZZO CARTACEO: 13€
SINOSSI
Nel giugno del 1155, dopo esser stato incoronato imperatore del Sacro Romano Impero da papa Adriano IV, Federico I Hohenstaufen, detto il Barbarossa, risale da Roma verso Nord, ritrovandosi a punire, lungo il suo cammino di ritorno verso casa, coloro che non gli dimostreranno fedeltà. Spoleto – a causa di un gesto sconsiderato da parte di alcuni rappresentanti cittadini – viene così data alle fiamme. Il cammino dell’esercito imperiale prosegue dunque verso Gubbio, laddove risiede e opera il celebre vescovo Ubaldo, poi proclamato Santo. Ed è sullo sfondo di questo preciso momento storico e di questi luoghi, che si svolge la vicenda riguardante le vicissitudini di un giovane contadino di nome Bartolomeo che – seppur prostrato a causa di una serie di lutti familiari – ritroverà un filo di speranza grazie al suo nuovo amore per una prostituta di un postribolo locale, di nome Ida. Un romanzo dove non mancano i colpi di scena. Amore, crudeltà, invidia e potere sono il denominatore comune di una storia ambientata in un’epoca piena di fascino e di mistero.
BIOGRAFIA
Nato a Torino nel 1977, Stefano Ricchiuti ha spaziato dalla saggistica alla narrativa ed è, con Il velo giallo, alla sua ottava pubblicazione. Autore di romanzi storici ci trasporta con il suo ultimo lavoro in un Medioevo ricco di ombre e di luci, laddove la forza dei grandi eserciti ha lo stesso peso delle più intime tra le passioni umane.
BIOGRAFIA
Nato a Torino nel 1977, Stefano Ricchiuti ha spaziato dalla saggistica alla narrativa ed è, con Il velo giallo, alla sua ottava pubblicazione. Autore di romanzi storici ci trasporta con il suo ultimo lavoro in un Medioevo ricco di ombre e di luci, laddove la forza dei grandi eserciti ha lo stesso peso delle più intime tra le passioni umane.
ESTRATTO
Erano già manifesti nelle azioni di Bartolomeo tutti i sintomi di chi è stato irretito da un’infatuazione inaspettata, la stessa che conduce un individuo ad affrontare con tenacia qualunque tipo di ostacolo: quella vis, la forza vitale, che aveva preso piede nel suo cuore a scapito di qualunque forma di debolezza.
Il ragazzo si muoveva attraverso un bosco fitto e intricato, in cui il terreno cedeva sotto i suoi passi proprio quando questi si facevano appena più sicuri, ostacolandone l’andatura in modo tale che mai questa sarebbe potuta divenire da un momento all’altro più spedita e lineare. Il bosco richiedeva il proprio obolo, un pegno fatto di fatica e tenacia, imposto a chiunque lo avesse voluto violare. Ciò avveniva attraverso l’operato dei suoi figli e delle sue figlie, una progenie composta dai rami caduti dagli alberi morti, dagli arbusti che frustavano il viso e le braccia, o ancora dalle pietre che spuntavano a tratti aguzze e scivolose, subdole, ricoperte da un muschio brillante e vivace, oppure velate dalla soffice borracina, o ancora dalla semplice umidità languida di quel luogo cupo su cui gravava perenne una penombra verdastra.
Il passo claudicante di Bartolomeo sembrava comunque essere più solido e più fermo di quello che, privo di ferite, lo aveva accompagnato nel suo tragitto d’andata. Era un passo mosso da una rinnovata fiducia anche nel difficile districarsi di quella flora ostile, un incedere che si affiancava al lento, ma incontenibile sorgere di un atteggiamento speranzoso, più sicuro. Forse presto sarebbe divenuto entusiasta, o addirittura eccessivo e protervo, tutto teso verso un futuro in cui la propria volontà avrebbe potuto avere la meglio sulla crudeltà degli eventi che negli ultimi tempi lo avevano interessato. Seppur con movimenti ponderati e attenti, egli sembrava guadare con maestria la palude delle sue tante sfortune e dar aria al proprio petto, come stesse iniziando a sbrogliare quel groviglio di serpenti avvolti attorno al suo cuore, come se l’ombra delle fronde fitte di quel bosco – che impediva alla luce del sole di illuminarlo e di riscaldarlo – cominciasse pian piano a venir meno. Così gli parve di poter cominciare a lanciare lontano da sé le prime tra quelle serpi che la sua mano, senza più la paura e l’ambizione della morte, poteva afferrare a casaccio attingendo da quel viluppo ributtante e malvagio. In tal modo gli sembrava di emanciparsi da quel lungo crepuscolo che già pareva averlo destinato al proprio avello, da quel destino che lo voleva sepolto sotto la terra umida e nel quale la sua anima sarebbe caduta senza alcuna pietà verso l’inferno degli irredenti.
Camminò ancora per qualche minuto attraverso una zona più impervia, sino a giungere laddove si frapponeva tra lui e il prosieguo del suo cammino proprio quel ruscello che tanto danno gli aveva arrecato il giorno precedente, anche se si trovò, in quel caso, a poterlo attraversare in un punto diverso e più agevole. Cercò con attenzione il tratto in cui le due sponde apparivano più ravvicinate tra loro, dove il terreno sembrava meno in pendenza e la corrente più tranquilla.
Giunto con facilità sulla riva opposta si fermò per un istante a riposare e a riprendere fiato, avvolto da un piccolo cono di luce che lo riscaldava dall’alto, quasi con tenerezza.
Fu quello l’attimo in cui, in un varco tra le fronde, la città di Gubbio gli apparve in tutta la sua magnificenza: una creatura sfumata dalla bruma del bosco, alabastrina, cinta dalle proprie mura, adagiata sui monti come una dama che avvolta dal proprio mantello giace silente nel riposo e viene adornata dalla luce del mattino, trasfigurandosi nel chiarore che la rende prossima al risveglio.
Ripreso il cammino, ci volle ancora più di un’ora prima che Bartolomeo raggiungesse la destinazione, quella specie di ghetto situato ai margini della città dove era stato legittimato, tra i confini di chi ormai viveva lontano dalla benedizione delle anime rette, l’esercizio della voluttà e del meretricio. Lì si compiva la commozione del corpo di chi sprofondava nel nudo ventre femminile, in ciò che altro non era se non il piccolo preludio di un abisso ben più grande e terribile.
Quello scenario, confuso dalla foschia del ricordo incerto, gli appariva come poco più che un ammasso di rovine emerse dalla terra polverosa.
Bartolomeo si guardò intorno, pressoché certo che quello fosse il posto in cui la sera precedente aveva incontrato la dolce creatura, che con così tanto cuore e coraggio l’aveva esortato ad allontanarsi da quel luogo abbandonato da Dio, e nel quale anch’ella si trovava costretta a esercitare il proprio mercimonio.
Notò una vistosa crepa su un muro che gli parve di aver già notato nel suo muoversi incerto e annebbiato del giorno prima; scorse il vicolo che già aveva percorso, e lungo le pareti le poche porte di legno consunto e dalle quali – proprio come spiriti della notte che avevano annusato il respiro dei vivi – erano emerse le donne di malaffare adornate di tutte le loro lusinghe. Bartolomeo ripercorse il medesimo tragitto sino a giungere dinanzi a uno spiazzo, che al contrario di tutto il resto gli sembrò tanto nuovo quanto estraneo. A quel punto, come una nave che viaggia a vele spiegate dentro un mare inesplorato, si tuffò in quell’angolo di mondo dove andava ricercando l’ombra di un ricordo che egli, forse con grande stoltezza, credeva potersi trasformare nella rinnovata fonte del suo avvenire.
Dai loro giacigli si erano già levate quasi tutte le donne, agghindate prostitute che andavano circondandolo, attratte da quella fortuna insperata del primo mattino che avrebbe potuto portar loro denaro in virtù di meritevoli servigi.
Il giovane uomo si rivolse loro con un certo affanno.
«Sto cercando una ragazza…» disse «non conosco il suo nome, ma è una ragazza dai capelli castani, con grandi occhi verdi. Era qui ieri sera… la conoscete? Qualcuna di voi può aiutarmi? Vi prego! C’è qualcuna tra voi che può forse dirmi dove posso trovarla?»
Ciascuna di quelle richieste però, trovò in quelle donne di tutte le età soltanto risposte allusive, provocatorie, maliziose, e nessuna di loro si dimostrò utile alla sua ricerca.
Ciò nonostante, tra quella moltitudine di meretrici col capo ricoperto da un velo giallo c’era chi, a dispetto del disinteresse generale, aveva colto nelle parole di Bartolomeo un’afflizione che rasentava la pena.
«Io credo di sapere chi state cercando» fece con voce flebile una delle più anziane tra le peripatetiche «è Guiduccia, signore. Non è molto tempo che la giovane è da noi, ma non è qui ora. So per certo dove si trova adesso, e se volete posso condurvi da lei.»
Uno scintillio di speranza illuminò gli occhi di Bartolomeo. Dal vasto e irrequieto oceano nel quale sino a quel momento gli era parso di navigare, stava forse per essere condotto presso una baia più tranquilla: un piccolo golfo posto sotto un cielo immoto, lambito da onde innocue, laddove incontrare finalmente la fonte di tutta quella sua nuova venerazione.
Il ragazzo si muoveva attraverso un bosco fitto e intricato, in cui il terreno cedeva sotto i suoi passi proprio quando questi si facevano appena più sicuri, ostacolandone l’andatura in modo tale che mai questa sarebbe potuta divenire da un momento all’altro più spedita e lineare. Il bosco richiedeva il proprio obolo, un pegno fatto di fatica e tenacia, imposto a chiunque lo avesse voluto violare. Ciò avveniva attraverso l’operato dei suoi figli e delle sue figlie, una progenie composta dai rami caduti dagli alberi morti, dagli arbusti che frustavano il viso e le braccia, o ancora dalle pietre che spuntavano a tratti aguzze e scivolose, subdole, ricoperte da un muschio brillante e vivace, oppure velate dalla soffice borracina, o ancora dalla semplice umidità languida di quel luogo cupo su cui gravava perenne una penombra verdastra.
Il passo claudicante di Bartolomeo sembrava comunque essere più solido e più fermo di quello che, privo di ferite, lo aveva accompagnato nel suo tragitto d’andata. Era un passo mosso da una rinnovata fiducia anche nel difficile districarsi di quella flora ostile, un incedere che si affiancava al lento, ma incontenibile sorgere di un atteggiamento speranzoso, più sicuro. Forse presto sarebbe divenuto entusiasta, o addirittura eccessivo e protervo, tutto teso verso un futuro in cui la propria volontà avrebbe potuto avere la meglio sulla crudeltà degli eventi che negli ultimi tempi lo avevano interessato. Seppur con movimenti ponderati e attenti, egli sembrava guadare con maestria la palude delle sue tante sfortune e dar aria al proprio petto, come stesse iniziando a sbrogliare quel groviglio di serpenti avvolti attorno al suo cuore, come se l’ombra delle fronde fitte di quel bosco – che impediva alla luce del sole di illuminarlo e di riscaldarlo – cominciasse pian piano a venir meno. Così gli parve di poter cominciare a lanciare lontano da sé le prime tra quelle serpi che la sua mano, senza più la paura e l’ambizione della morte, poteva afferrare a casaccio attingendo da quel viluppo ributtante e malvagio. In tal modo gli sembrava di emanciparsi da quel lungo crepuscolo che già pareva averlo destinato al proprio avello, da quel destino che lo voleva sepolto sotto la terra umida e nel quale la sua anima sarebbe caduta senza alcuna pietà verso l’inferno degli irredenti.
Camminò ancora per qualche minuto attraverso una zona più impervia, sino a giungere laddove si frapponeva tra lui e il prosieguo del suo cammino proprio quel ruscello che tanto danno gli aveva arrecato il giorno precedente, anche se si trovò, in quel caso, a poterlo attraversare in un punto diverso e più agevole. Cercò con attenzione il tratto in cui le due sponde apparivano più ravvicinate tra loro, dove il terreno sembrava meno in pendenza e la corrente più tranquilla.
Giunto con facilità sulla riva opposta si fermò per un istante a riposare e a riprendere fiato, avvolto da un piccolo cono di luce che lo riscaldava dall’alto, quasi con tenerezza.
Fu quello l’attimo in cui, in un varco tra le fronde, la città di Gubbio gli apparve in tutta la sua magnificenza: una creatura sfumata dalla bruma del bosco, alabastrina, cinta dalle proprie mura, adagiata sui monti come una dama che avvolta dal proprio mantello giace silente nel riposo e viene adornata dalla luce del mattino, trasfigurandosi nel chiarore che la rende prossima al risveglio.
Ripreso il cammino, ci volle ancora più di un’ora prima che Bartolomeo raggiungesse la destinazione, quella specie di ghetto situato ai margini della città dove era stato legittimato, tra i confini di chi ormai viveva lontano dalla benedizione delle anime rette, l’esercizio della voluttà e del meretricio. Lì si compiva la commozione del corpo di chi sprofondava nel nudo ventre femminile, in ciò che altro non era se non il piccolo preludio di un abisso ben più grande e terribile.
Quello scenario, confuso dalla foschia del ricordo incerto, gli appariva come poco più che un ammasso di rovine emerse dalla terra polverosa.
Bartolomeo si guardò intorno, pressoché certo che quello fosse il posto in cui la sera precedente aveva incontrato la dolce creatura, che con così tanto cuore e coraggio l’aveva esortato ad allontanarsi da quel luogo abbandonato da Dio, e nel quale anch’ella si trovava costretta a esercitare il proprio mercimonio.
Notò una vistosa crepa su un muro che gli parve di aver già notato nel suo muoversi incerto e annebbiato del giorno prima; scorse il vicolo che già aveva percorso, e lungo le pareti le poche porte di legno consunto e dalle quali – proprio come spiriti della notte che avevano annusato il respiro dei vivi – erano emerse le donne di malaffare adornate di tutte le loro lusinghe. Bartolomeo ripercorse il medesimo tragitto sino a giungere dinanzi a uno spiazzo, che al contrario di tutto il resto gli sembrò tanto nuovo quanto estraneo. A quel punto, come una nave che viaggia a vele spiegate dentro un mare inesplorato, si tuffò in quell’angolo di mondo dove andava ricercando l’ombra di un ricordo che egli, forse con grande stoltezza, credeva potersi trasformare nella rinnovata fonte del suo avvenire.
Dai loro giacigli si erano già levate quasi tutte le donne, agghindate prostitute che andavano circondandolo, attratte da quella fortuna insperata del primo mattino che avrebbe potuto portar loro denaro in virtù di meritevoli servigi.
Il giovane uomo si rivolse loro con un certo affanno.
«Sto cercando una ragazza…» disse «non conosco il suo nome, ma è una ragazza dai capelli castani, con grandi occhi verdi. Era qui ieri sera… la conoscete? Qualcuna di voi può aiutarmi? Vi prego! C’è qualcuna tra voi che può forse dirmi dove posso trovarla?»
Ciascuna di quelle richieste però, trovò in quelle donne di tutte le età soltanto risposte allusive, provocatorie, maliziose, e nessuna di loro si dimostrò utile alla sua ricerca.
Ciò nonostante, tra quella moltitudine di meretrici col capo ricoperto da un velo giallo c’era chi, a dispetto del disinteresse generale, aveva colto nelle parole di Bartolomeo un’afflizione che rasentava la pena.
«Io credo di sapere chi state cercando» fece con voce flebile una delle più anziane tra le peripatetiche «è Guiduccia, signore. Non è molto tempo che la giovane è da noi, ma non è qui ora. So per certo dove si trova adesso, e se volete posso condurvi da lei.»
Uno scintillio di speranza illuminò gli occhi di Bartolomeo. Dal vasto e irrequieto oceano nel quale sino a quel momento gli era parso di navigare, stava forse per essere condotto presso una baia più tranquilla: un piccolo golfo posto sotto un cielo immoto, lambito da onde innocue, laddove incontrare finalmente la fonte di tutta quella sua nuova venerazione.
LINK UTILI
Amazon
Sito casa editrice
Facebook casa editrice
Mail casa editrice
Instagram casa editrice
Nessun commento:
Posta un commento