Segnalazione #116 - Classe 1911

 SEGNALAZIONE #116

CLASSE 1911




TITOLO: Classe 1911
AUTORE: Martina Longhin
GENERE: biografico storico
EDITORE: Brè Edizioni
NUMERO DI PAGINE: 314
DATA DI PUBBLICAZIONE: 19 febbraio 2023
ASIN: B0BW9R7XR3
PREZZO E-BOOK: 3,99€ (disponibile su Kindle Unlimited)
ISBN: 9791259703316
PREZZO CARTACEO: 16€
 
SINOSSI

Il romanzo è ambientato nelle campagne veneziane. Siamo nel 1935, nel pieno ventennio fascista. Il protagonista è Luigi, classe 1911, un apprendista falegname, introverso, religioso, dai sani principi e con il sogno di aprire una falegnameria. Ma Mussolini ha altri progetti per lui, programmi che sconvolgeranno la vita del povero uomo. Il Duce brama “un posto al sole” e decide di conquistare l’Etiopia. Luigi è costretto a partire per il Paese africano, dove assisterà alle peggiori atrocità. Iniziano a farsi strada dei sentimenti che non gli appartengono e che lo spaventano: il rancore e la vendetta. Questi sentimenti, che si assopiscono al rientro in patria, tornano prepotenti quando ritrova un ex capomanipolo delle camicie nere incontrato in Africa, trasferitosi nel suo paese per lavorare. E le efferatezze che l’uomo perpetrava in Etiopia, continua a compierle nel veneziano come membro delle brigate nere, durante la Seconda guerra mondiale. Crudeltà, ingiustizie, patimenti, ma anche amicizia, solidarietà e amore, in un libro tratto da storie realmente accadute, in uno dei periodi più difficili del Ventesimo secolo.

BIOGRAFIA

Martina Longhin è nata e vive a Mirano, un comune a circa venti chilometri da Venezia. Fin da piccola ha amato la musica, tanto da farla diventare la sua professione, ma le piacciono anche la cucina, le lingue, i viaggi e i libri, soprattutto quelli storici. Da pochi anni ha scoperto la scrittura, in particolare quella basata sulle storie vere e quella per i bambini e ragazzi. Dopo il suo libro d’esordio Alla ricerca di Lyset, un romanzo fantasy pensato proprio per il pubblico più giovane, si è talmente appassionata a questa forma d’arte da iniziare a seguire dei corsi di scrittura creativa e dedi-carvisi a tempo pieno. Con Brè edizioni, oltre a Classe 1911 – I so-gni devono attendere, ha pubblicato nel 2021 Una cartolina dall’aldilà, un noir con un pizzico di romance, e nello stesso anno Anna. L’inferno in una bottiglia, un libro tratto da una storia real-mente accaduta, che parla della violenza sulle donne e che ha otte-nuto riconoscimenti in alcuni concorsi letterari. Per i bambini ha pubblicato Yosef e le sfere lucenti, un racconto con illustrazioni ad acquerello, realizzate da Elena Levorato. Ha scritto, inoltre, nume-rosi racconti, alcuni dei quali sono stati selezionati e pubblicati nelle antologie di concorsi nazionali e internazionali.

ESTRATTO

Nel primo pomeriggio del giorno seguente, arrivarono anche gli obici e Luigi, insieme ai compagni, fu impegnato a scaricarli, montarli e controllarne il funzionamento.
Al mattino, nell’attesa che i camion con l’artiglieria arrivassero, Manlio insistette perché Luigi lo accompagnasse nella perlustrazione dell’accampamento.
Era curioso di scoprire com’era organizzato un campo militare, e lo trascinò tra le tende destinate alle truppe, tra quelle degli ufficiali, nell’area mensa, cucina e panificio, e nell’area adibita a ospedale.
Passarono, poi, davanti all’ufficio postale dove, sotto a una tenda aperta, c’era un lungo tavolo pieno di pacchi in arrivo, con davanti dei soldati in fila per ritirarli.
Proseguirono in direzione della zona operativa degli ufficiali e, infine, verso la tenda per le comunicazioni, con telefoni, telegrafi e apparecchiature varie.
Proprio dietro a quest’ultima, tre militari del Genio erano arrampicati sopra a un traliccio e stavano lavorando su un fascio di fili che collegava il gruppo di tende del comando superiore alla centrale telefonica.
Sotto di loro un sergente operatore, con delle cuffie in testa, era seduto davanti a un tavolino e girava veloce una manovella posta sul lato di una cassetta di legno, da cui partiva un filo volante che si collegava agli altri sopra di lui.
Manlio andò fin sotto al traliccio e con il naso all’insù si mise a osservare i tre militari del Genio.
«Ti serve qualcosa, soldato?» gli chiese uno di questi.
Manlio fece di no con la testa.
«Cosa state facendo?»
Il sergente operatore sollevò una cornetta.
«Ce stava ’na inderruzione su le linee.»
«Oh! E adesso? È tuto a posto?»
«Sì, pe’ fortuna. Se poteva mica ricevere li ordini, sennò!»
Appena Luigi udì la cadenza dell’uomo, si girò verso di lui.
«Scusate, sergente, voi siete di Terni?»
Il sergente lo scrutò per un attimo con le sopracciglia increspate.
«Sì, Terni città, perché?»
Luigi allargò le labbra.
«Ho riconosciuto l’accento. Sono stato alla Règia fabbrica d’armi. Ho fato il corso alievi armaioli.»
«Ma bè! E quando?»
«Nel ’33.»
«Nel ’33…» il sergente si massaggiò il mento.
«Mhmm, pure mio fradello ha seguito quel corso, ma mi pare un po’ prima.»
«Come si chiama vostro fratelo?»
«Alfredo Rosati, ma no, nun poi averlo conosciudo, ha frequendado nel ’30 o nel ’31, massimo.»
Luigi scosse la testa.
«Infati, proprio non mi ricordo questo nome.»
Un rombo man mano più intenso scosse l’aria fino a far vibrare le viscere di Luigi e ogni cosa attorno a lui. Stavano sopraggiungendo delle squadriglie di aeroplani, talmente bassi che si potevano distinguere i piloti all’interno. Il sergente li salutò agitando il braccio in aria.
«Stanno andando a ispezionare la zona» disse appena il rombo si attenuò.
Mentre gli apparecchi sorvolavano l’accampamento, Manlio si avvicinò al tavolino dov’era seduto il sergente, e con la testa piantata sull’apparato telefonico scrutò ogni pulsante, morsetto, indicatore, deviatore…
Il sergente Rosati piegò il capo di lato per cercarne lo sguardo.
«Ti ’ndaressano le comunicazioni?»
Manlio fece cenno di sì e si raddrizzò.
«Mi interessa, sì, ma non ghe capisco niente.»
Rosati arricciò le labbra.
«Se volede qui ho finito e so’ libero e ve posso spiega’ qualcosa.»
A Manlio si illuminarono gli occhi.
«Certo che volio, signor sergente, con piacere.»
Rosati prese con sé l’apparato telefonico e con la testa indicò il tavolo e la sedia.
«Daje mó, voi pijate (Dai, voi prendete) quelli, e andiamo sotto la tenda che fa più fresco.»
Il clima lassù non era gradevole. Di giorno, nonostante l’estate fosse già finita, la temperatura era ancora alta e per evitare insolazioni i soldati erano costretti a indossare la “bustina” o l’elmetto coloniale.
Nel pomeriggio, poi, entrare nelle tende era improponibile: il caldo era talmente afoso, che si rischiava di soffocare.
Di notte, al contrario, faceva freddo, tanto che Luigi dormiva con il pastrano di cui ogni soldato era stato fornito.
Il vento forte era un’altra caratterista di quell’altopiano, oltre alla nebbia che spesso scendeva ad ammantare il paesaggio, costituito soltanto da terra, roccia rossa e qualche sporadico e basso arbusto. La vegetazione era inesistente.
Alla difficoltà del clima, si aggiungeva il supplizio delle mosche. Occhi, labbra, naso, orecchie, quei fastidiosi insetti si posavano ovunque e più Luigi ne mandava via, più ne arrivavano.
I giorni passarono tra esercitazioni di artiglieria, marce di allenamento, e chiacchierate con il sergente Rosati.
L’uomo, nonostante fosse di grado superiore a Luigi e Manlio, era affabile, gentile e parecchio simpatico e, complice anche il carattere estroverso e bizzarro di Manlio, i tre strinsero subito amicizia.
Da Rosati, Luigi apprese che Decamerè era un’importante base operativa per la campagna militare, sorta proprio in occasione della guerra.
Sorgeva in posizione strategica ed era il luogo in cui buona parte delle merci e delle truppe, arrivate a Massaua, venivano trasportate prima di essere smistate nei vari fronti.
E lì giungevano pure i mezzi e il materiale di cui gli operai avevano necessità per la costruzione di ponti e strade. Fu quindi inevitabile che nell’accampamento si fossero accumulate casse con alimenti, balle di fieno, fusti di gasolio, spranghe di ferro, oltre a muli, pezzi d’artiglieria, automezzi di ogni tipo e una lunga fila di camion in attesa di riparazione.
Nel centro abitato, vi erano delle grandi officine per la riparazione degli autoveicoli, delle baracche di legno e molte costruzioni provvisorie, che il sergente aveva detto erano state innalzate proprio per gli operai che stavano costruendo le strade.
Gli aveva inoltre riferito che l’aviazione italiana poteva spiare indisturbata gli abissini, perché il nemico non possedeva alcuna forza aerea e che poco lontano da Decamerè, a circa una decina di chilometri a sud-est, vi era un altro luogo molto importante per le future azioni belliche, l’aeroporto di Gura, il quartier generale della Règia Aeronautica.
Ed era proprio da Gura che la sera del 2 ottobre il sergente Rosati proveniva, quando arrivò a tutta velocità, frenando d’improvviso e sollevando una nuvola di polvere che andò a mischiarsi con la sottile nebbiolina che stava calando.
Il piazzale era stato illuminato da ulteriori fari ed era gremito di soldati seduti per terra, in attesa di un discorso che il Duce aveva preannunciato.
Quando il sergente scese dal mezzo, Manlio, che assieme a Luigi era appoggiato con la schiena alla ruota di una camionetta, poco lontano da dove aveva parcheggiato l’uomo, gli lanciò un fischio e lo salutò con la mano.
Proprio in quel momento, gli altoparlanti cominciarono a diffondere gli applausi, le invocazioni, e le urla della folla radunata a Roma, in Piazza Venezia.
Uno stacco di trombe e l’urlo “Camicie nere, saluto al Duce” annunciò l’inizio del discorso di Mussolini.

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